Siamo all’inizio dell’800 e la presenza europea in Australia è di poche centinaia di persone, tra cui alcuni missionari che furono i precursori dell’emigrazione in Oceania. Poi, a metà del secolo, venne scoperto dell’oro nelle regioni orientali dell’Australia e numerosi coloni arrivarono da ogni parte dell’Europa, tra questi anche diversi italiani che formarono nelle regioni di Victoria e a Sidney le prime comunità di lingua italiana. Ben presto però le risorse aurifere si prosciugarono e molti immigrati si riciclarono come agricoltori iniziando nuove proficue attività che portarono altri avventurosi a tentare la via dell’emigrazione dall’Italia, specie dalle regioni del Nord. Ma si trattava sempre di fenomeni isolati, lasciati alla libera iniziativa e senza alcuna organizzazione alle spalle. Tra questi emigranti c’era anche un veneto, Romeo Bragato che, dopo essersi diplomato alla scuola enologica di Conegliano, ebbe fortuna come viticoltore nella regione di Victoria.
Della fine dell’800 è la prima comunità ufficiale di italiani che si chiamò, naturalmente,
New Italy e sorse nella regione di Sidney, il New South Galles: aveva una scuola e una chiesa proprie e ve ne facevano parte, nel 1888, circa 250 persone, che riuscirono ad ottenere buoni raccolti da terreni abbandonati perché ritenuti aridi e improduttivi. Le principali coltivazioni erano a vite e ad alberi di frutta, ma ben presto venne iniziata anche un’attività di sericoltura. Per finanziare queste nuove attività gli uomini lavoravano anche al di fuori della comunità, come tagliaboschi o nelle piantagioni di canna da zucchero. Le condizioni di lavoro erano durissime a causa del clima e delle difficoltà del terreno, ma New Italy mantenne ugualmente per decenni un importante valore simbolico, anche se non divenne mai un insediamento numeroso e dopo la prima guerra mondiale cadde in declino, dato che molte famiglie si erano già trasferite in aree più produttive.
Nel 1891 arrivò nel Queensland una spedizione di circa 300 italiani, tra cui alcune famiglie venete che, dopo i primi anni molto difficili nelle piantagioni di canna da zucchero, riuscirono ad acquistarsi degli appezzamenti di terreno e ben presto divennero benestanti. In questo periodo gli immigrati italiani provenivano essenzialmente da 4 regioni:
Sicilia (molti pescatori),
Lombardia,
Piemonte e
Veneto e naturalmente, una volta divenuti proprietari, chiamarono in Australia altri italiani. Questo trend di crescita durò fino alla Prima guerra mondiale.
Nel 1901, per limitare l’arrivo indiscriminato di coloni, venne adottata la White Australia Policy, una norma che prevedeva una specie di esame per gli immigrati. Solo chi dimostrava di saper scrivere in una lingua europea poteva avere il permesso di entrata e molti italiani, analfabeti, dovettero rinunciare al loro sogno australiano.
All’inizio del XX secolo si registra l’arrivo di un nucleo di bellunesi a
Port Pirie nel South Australia, che trovarono lavoro nelle miniere del New South Walles, la regione di Sidney e Canberra. All’inizio della prima guerra mondiale alcuni di questi si trasferirono a
Griffith a fare gli agricoltori e diedero inizio ad una consistente comunità veneta. Altri invece vennero richiamati a servire la patria in guerra.
Nel 1911 erano più di seimila gli emigranti italiani la maggior parte residenti nel Western Australia, nel New South Walles e nel Victoria (1499 presenze). Il 65,8% degli immigrati italiani viveva in campagna ed erano per la maggior parte uomini. La presenza veneta non era predominate ma era in lenta crescita, poi intervenne la guerra mondiale ad arrestare i flussi migratori.
da "Veneti d'Australia" di Luciano Segafreddo